LA RESISTENZA MAPUCHE NON è TERRORISMO, è DIGNITà CONTRO L’INGIUSTIZIA E L’AGGRESSIONE

“Questa riflessione sui fatti che ci circondano, la facciamo in memoria dei caduti nella lotta e di coloro che oggi sopportano il freddo delle prigioni, la clandestinità, il dolore delle ferite ed i tradimenti.”

Di Rodrigo Curipan, Werken, Lof Mapuche Rankilko, 29 Giugno 2017

Lo Stato cileno e la sua classe borghese continuano nella persecuzione politica e giudiziale contro il popolo Mapuche. Pertanto non c’è da stupirsi che il livello di conflitto tra la polizia militarizzata e la forza di resistenza Mapuche, sarà sempre più elevato. Se la rivendicazione di autonomia e libera determinazione prosperasse, secondo il pensiero razzista e conservatore dei politici, religiosi, cronisti ed organizzazioni anti mapuche, costituirebbe la disintegrazione territoriale dello Stato cileno. Posizioni e punti di vista come questi aprono una breccia enorme di malintesi e non permettono di raggiungere una soluzione a questo sanguinoso conflitto,e nel frattempo le azioni violente contro i mapuche continueranno ad essere taciute dai mezzi di comunicazione al servizio del governo, le imprese forestali ed i proprietari terrieri.

Con questo ragionamento paternalistico il governo di turno continuerà ad applicare la vecchia politica, che si trascina da prima che lo Stato cileno invadesse il territorio e che consiste nella creazione di un fantasma violento e spietato con volto Mapuche. Perseguono un terrorismo che non esiste, una violenza rurale creata a causa della repressione sfrenata contro le comunità.

L’autodifesa mapuche è la risposta logica alla repressione inumana esercitata dalla polizia militarizzata, che approfitta dell’impunità che gli concede il governo. Ma ciò che non fa l’esecutivo, è riconoscere l’origine del problema e la sua soluzione logica. Pertanto, non esiste attualmente una volontà politica che permetta di trattare il tema dell’autonomia in futuro.

Alcuni giorni fa sono emersi all’attenzione pubblica le spese milionarie che effettua la polizia militarizzata che opera nella zona di Arauco. Con importi che superano i 400 milioni di pesos, solo per le spese di alimentazione. Questo riflette quanto il governo non lesinerà spese per schiacciare qualunque indizio di controllo o rivendicazione territoriale che sia fuori dall’ istituzionalità vigente.

I poliziotti contano su un bilancio che supera quello amministrato ogni anno dalla Corporazione Nazionale di Sviluppo Indigeno a livello nazionale. La nuova Zona Araucanía di Controllo Ordine Pubblico con direzione a Victoria, ha come obbiettivo controllare qualunque manifestazione di recupero delle terre, i pattugliamenti all’interno delle comunità e le postazioni permanenti di vigilanza forestale. Con caserme a Pidima, Pailahueque, Collipulli ed Angol, si vive uno stato d’assedio accettato con la logica di guerra. Non esistono strade rurali che non siano controllate da carabineros fortemente armati.

I paramilitari dietro la maschera legale delle Giunte di Vigilanza Rurale

Le Giunte di Vigilanza Rurale sono gruppi civili armati, reclutati da latifondisti ed addestrati militarmente da carabineros in pensione e dall’ANI (Agenzia Nazionale d’Intelligence-ndt). Contano sul finanziamento diretto del Ministero dell’Interno,per quanto riguarda l’Araucanía, il bilancio annuale è di 4000 milioni di pesos per la dotazione di radio, armi e munizioni.

Operano tramite la figura legale di giunte di vigilanza con il presunto obiettivo di prevenire il furto di bestiame. Il loro vero proposito in verità consiste nell’essere il braccio armato dei latifondisti e delle imprese forestali. Li hanno creati per contenere l’avanzamento del recupero territoriale e per intimidire le comunità. Protetti dall’anonimato agiscono impunemente. Dal 2012 fino ad oggi, oltre trenta abitazioni mapuche sono state bruciate e tre dirigenti sequestrati, presi violentemente dalle loro case in presenza delle loro famiglie. Ogni caso è stato denunciato ai tribunali e sono stati presentati più di dieci ricorsi di protezione e di difesa alla corte d’appello di Temuco.Fino ad ora non sono partite indagini e con ogni probabilità mai inizieranno.

Pace nell’Araucanía, un’utopia senza giustizia e senza terra per il popolo Mapuche

Nell’ultimo tempo abbiamo osservato la creazione di più di tre organizzazioni autodefinitesi come vittime della violenza rurale. Sono dirette politicamente da latifondisti e parlamentari di destra, che con un discorso falso ed inconsistente hanno confuso la società cilena. In un clima ostile ed insicuro nella regione, utilizzano lo slogan “Pace nell’Araucanía” per manipolare.

Si impossessano della bandiera della pace per nascondere l’usurpazione territoriale e per continuare la persecuzione e la violenza sistematica contro le comunità. Cercano di screditare la legittimità del processo di recupero territoriale e l’autodifesa mapuche. Tutti parlano di pace nell’Araucanía, ma nessuno chiede della sofferenza della gente mapuche, dei feriti che rimangono dopo le irruzioni, degli omicidi, le torture e le detenzioni extragiudiziali ed arbitrarie. Si tratta di una pace delimitata al loro interesse economico e politico, è una pace egoista e falsa.

Non esiste la volontà politica da parte del governo né le condizioni di fiducia necessarie per sviluppare nuovi sforzi di avvicinamento. L’assistenzialismo con la terra mapuche, è semplicemente intollerabile. Di fronte a questa realtà rimangono solo due strade. La prima, continuare nell’ingenuità politica di credere nella benevolenza dello Stato e nell’integrazione al suo progresso economico. La seconda, farsi carico della storia e costruire il proprio destino, per quanto difficile o impossibile che sembri. Quest’ultima, è la speranza del movimento mapuche contemporaneo,

perché gli avvenimenti hanno creato condizioni stabili e durature per questa lotta di liberazione emergente. La nuova sfida richiede maggiori sforzi e organizzazione Mapuche.

Testo pubblicato nell’edizione numero 21 della rivista Mala

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